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Parole in viaggio
Il giorno in cui sono diventata Virginia Woolf
Sì, sono diventata Virginia Woolf. Almeno sul web. Quando? Il 21 febbraio 2012. Dove? Nella pagina Facebook La Stanza di Virginia, collegata anche alla rivista web che dirigo. In questa pagina scrivo liberamente, citando anche autori, a volte.
Road book - letture di strada
Leggere insieme: la comunità delle parole condivise scende in piazza e fa il giro di Roma.
I quaderni del MDS
La stanza di Virginia
La mia Istanbul
Viaggio di una donna occidentale attraverso la Porta d'Oriente
Francesca Pacini a RAI1
Editoriali
Riflessioni sugli universi letterari e sociali.
L'intelligenza artificiale fa discutere, molto.
Il suo uso entra in un momento storico difficile per tutta l'umanità, un momento drammaticamente percoso da guerre che incendiano tutto il pianeta, emergenze, crisi di ogni tipo. Mai come adesso la necessità di comprendere ciò che accade nel mondo può, e deve, fare la differenza.
Viviamo in un sistema digitale in cui siamo invasi da informazioni, eppure la falsficazione della realtà, proprio grazie agli strumenti tecnologici che ci hanno permesso di coglierla in lungo e in largo, collegando geografie, lingue, culture e popoli, minaccia l'autentica comprensione degli avvenimenti, in cui i fatti sono spesso intrisi di propaganda, manipolazione, occultamento. Sì, le famose "fake news" (espressione orribile, tragicamente mutuata dal linguaggio anglosassone).
L'accelerazione dell'informazione trascina con sé la sua ombra, cioè la disinformazione. Dunque è sempre più difficile filtrare, selezionare, approfondire, immersi come siamo in un mare magnum di testi e foto in cui rischiamo di affogare.
Oggi intendo concentrarmi sulle immagini.
Se la fotofrafia ha sempre rappresentato il "fermo immagine" della realtà, e la sua fedele rappresentazione, oggi invece rischia di essere usata per mistificare la realtà che dovrebbe invece raccontare.
La facilità con cui costruiamo immagini prendendo pezzi qua e là rischia di essere usata per veicolare la propaganda spacciata per informazione.
Sappiamo veramente, davanti a un'immagine, se la rappresentazione di quella realtà è davvero fedele o se il contesto è stato invece manomesso?
La vecchia camera oscura è stata sostituita da programmi digitali capaci di creare immagini che farebbero impallidire le visioni oniriche di un De Chirico, o un Dalì.
Ma questi stessi programmi creano artifici, e il problema nasce quando si deve testimoniare un accadimento, come nel caso della fotografia dei reporterm dei documentaristi.
Siamo davvero sicuri che ciò che stiamo guardando sia reale?
Oggi potremmo prendere l'immagine di alcuni morti in un aparte del mondo, e portarli in un contesto completamente diverso, con il solo sforzo di un click.
Saremmo veramente capaci di distinguere il vero dal falso?
A peggiorare le cose arrivano le immagini costruite con l'Intelligenza Artificiale, ancora più astuta della già diabolica mente di un uomo.
Più precisa, più potente.
Da un certo punto di vista, l'oggettivazione presente in una vecchia fotografia fornisce la garanzia di autenticità.
Poco importa se irreali, e modificati, sono i sorrisi o le gambe dei selfie che compaiono su Instagram, il luogo della perfezione "ritoccata", dei filtri, delle app per ringiovanire.
Ciò che invece conta, e deve stimolare una riflesisone, è la fedeltà quando si deve racocntare il reale, e non il mondo posticcio dei social. Ed è proprio sui social che oggi si cercano sempre di èiù le fonti di informazione, sia visive che contenutistiche. Tanto che i vari Zuckenberg, e compoagnia bella, devono controllare costantemente il flusso di informazioni, alla ricerca, con i loro "fact checker" delle famose bufale che portano alla disinformazione. E questa è una storia che merita un aporofondimento a parte (i social hanno dimostrato di essere schierati, e niente affatto neutralli, privilegiando le informazioni condivise dai loro governi).
Dunque la facilità con cui l'immagine artificiale può essere manomessa deve farci pensare, in tempi in cui il pensiero crtiico sembra quasi vietato.
L'intelligenza artificiale avrà un impatto sempre maggiore, e noi dovremo interrogarci, e saper distinguere il vero dal falaso.
Per quantro riguarda il mondo della fotografia, e delle immagini, più in generale, la ricerca, l'approfondimento e il confronto rimarranno lo scudo con cui difenderci, cercando in rete, riflettendo quando abbiamo un dubbio, un sospetto.
Perchè l'ironia della realtà "aumentata" è che, di fatto, aumenta anche la manipolazione, in ogni suo aspetto.
Cerchiamo perciò di essere sempre vigili, e attenti.
La "fotografia della realtà" è un'espessione derivata proprio dalla capacità, in passato, di mostrare il reale attraverso le immagini.
Siamo sicuri che oggi, nel mondo dell'informazione, sia ancora - e sempre - così?
Francesca Pacini
Le parole sono suoni dell’anima. Sono uno dei modi in cui l’anima si esprime, da sempre.
Lo sanno bene i poeti. Lo sa chiunque conosca la forza terapeutica della parola per tirare fuori traumi, emozioni, per raccontarsi e liberarsi del passato. Con la parola la psicoanalisi e le psicoterapie contribuiscono a metabolizzare perfino le ferite più gravi.
Perché la parola è collegata alle emozioni, alle sensazioni, serve a tirare fuori le parti nascoste di noi.
A differenza della parola “parlata”, la parola scritta lascia una traccia, si libera in un perimetro materiale ben definito.
Diventa così un deposito in cui lasciare i bagagli inutili che ci portiamo dentro.
Ma dobbiamo essere disposti alla sincerità con noi stessi.
Nell’antichità le tradizioni orali usavano le storie per raccontare il mondo, educare le persone alla vita. Le favole, ancora oggi, sono un tesoro inesauribile di conoscenza.
Ma è con la nostra storia, che riusciamo davvero a cambiare.
Scrivere la propria storia, scegliendo con cura il linguaggio e le parole, aiuta a ri-conoscersi e dare un nuovo significato al proprio destino.
Ma non possiamosempre farlo da soli, a volte abbiamo bisogno di uno specchio in cui rifletterci, uno specchio che ci aiuti a tirare fuori le emozioni per poi metterle su carta e condividerle in un percorso corale.
E’ questa la differenza fra il solipsismo narcisistico di molti scrittori e l’uso della storia, della narrazione, per arrivare a un contatto profondo con sé stessi da donare poi agli altri, in un gioco di specchi e rimbalzi.
Il senso è quello della non conservazione dei pesi e della capacità di liberare nuove energie davanti a un foglio bianco, su cui il cliente - o il gruppo di lavoro- scriverà un futuro immaginato per chiarirsi obiettivi e desideri.
Questo, invece, sarà conservato.
Scrivere il proprio passato, liberandosi del peso delle ferite, è necessario per ri-disegnare un futuro diverso.
La scrittura è una forma di terapia. Scrivere aiuta a “oggettivare” un vissuto, una sofferenza. Ẻ una di esorcismo. Ma scrivere aiuta anche a definire meglio noi stessi, a conoscerci e a misurare il nostro passo nel mondo. L’autobiografia è un elemento comune a moltissimi scrittori, che l’anno usata per raccontarsi e raccontare le loro inquietudini (basta pensare a Chatwin, e al suo modo scintillante di mescolare finzione e realtà, dato personale e avventura di viaggio). Ed è soprattutto un “esorcismo” che ci libera dei pesi, aiutandoci a stare meglio. Lo sappiamo fin da bambini, quando avevamo il nostro diario segreto. Le ombre, allora, pesavano meno, diminuivano la loro minaccia. Ci sono sautoir che ci hanno regalato diari bellissimi, come quello di Anna Frank, si Etty Hillesum, di Virginia Woolf.
La forma della lettera, a noi stessi o a qualcun altro, ha valore catartico. Scrivere, insomma, è un atto terapeutico.
L’anima è intimamente connessa alla scrittura. Non a caso nelle leggende antiche il dio Mercurio (legato, appunto, alla scrittura e alla comunicazione) era il mediatore fra il cielo e la terra, fra gli uomini e gli dei. Sono solo simboli, ovviamente, che però sono ben radicati nell’inconscio collettivo da cui possiamo attingere ogni volta che cerchiamo nuove energie.
E non importa che l’anima sia intesa in senso cristiano, buddhista, gnostico, musulmano, ecc…L’anima è l’energia che ci connette a questo universo di infinite possibilità. E la scrittura è un ponte verso la libertà.
Per chi, come me, segue da molti anni i temi dell’ambiente è difficile vedere nelle conversioni green che si concentrano sugli immobili, e sugli incentivi alle auto elettriche, la soluzione reale delle tragedie a cui andiamo incontro.
Perché essere “green” è innanzitutto un fatto di coscienza. Senza una mente ecologica o avremo solo “lavaggi” fittizi che mettono la polvere sotto i tappeti (anzi, le case) ma non risolvono il fondamento su cui si basa la crisi epocale che stiamo attraversando. Crisi annunciata, a singhiozzo, in più di venti anni, fino al momento in cui si è deciso di mettere in agenda l’”emergenza pianeta”.
Questo pianeta, in realtà, è in emergenza da moltissimo tempo. La nostra terra è stremata, sfinita per colpa degli abusi a cui la sottoponiamo. Nell’ultimo secolo, le violenze si sono moltiplicate all’infinito, come nelle opere di Andy Wharol. Per questo ci sono i dati e le ricerche scientifiche, basta andarle a cercare. Qui voglio solo sottolineare come ogni cambiamento non possa prescindere da un atteggiamento diverso verso il pianeta che ci ospita e verso gli animali e le piante con cui condividiamo la presenza su questa terra.
L'ecologia della mente è ciò che conta davvero, il resto diventa un fatto naturale, spontaneo.
Inutile sfilare con la nuova, fiammante automobile elettrica, quando la sua produzione costa lo sfruttamento, e il maltrattamento, dei minori nelle miniere del Congo. Bambini violati, sottopagati, ridotti allo stremo. Non è molto “green”.
Come non è “green” pretendere di imporre alle famiglie cappotti, infissi, caldaie, quando poi scendendo a buttare la spazzatura ti ritrovi i divani insieme ai carciofi.
E, allo stesso modo, non è “green” uccidere (preventivamente, mi raccomando) animali salvati e protetti nei santuari per salvare i suini degli allevamenti infestati dalla peste, perpetrando il sistema intensivo di consumo della carne che, se solo fosse dismesso, risolverebbe gran parte dei problemi che ci troviamo davanti, compresa la fame del mondo (ma la fame è meno “green” delle vie pedonali, in scale di valori complesse che non riesco proprio a digerire)
Insomma, viva l’ecologia, ma solo quella che ci piace. O, meglio, quella che ci conviene. O, meglio ancora, quella che conviene al solito gruppo di potere che orienta le decisioni di finanze, banche e governi.
Non è bastata una pandemia a renderci migliori, ha invecei contribuito ad abbrutire, terrorizzare, a rendere manipolabili e prepararsi ai giorni futuri dei vari allarmi previsti in agenda.
Nulla può renderci migliori, nulla può renderci “green” se non trasformiamo la nostra coscienza, rendendoci conto che l’egosistema che abbiamo costruito sarà la nostra stessa distruzione.
Finché il mondo sarà considerato come un supermercato in cui andiamo a fare la spesa, prendendo ciò che ci serve, anche a discapito di altri, anche rubandoglielo, finché sfrutteremo la terra di cui siamo figli pensandola, con un atteggiamento magico molto infantile, dotata di infinite risorse che stanno lì, eternamente a nostra disposizione, finché vedremo in un albero un ornamento da abbattere se ostruisce il panorama del nostro villino (magari tutto ecologico, dotato perfino di pale e fotovoltaici) e non un sistema complesso che ci fornisce l’ossigeno, finché sfrutteremo ferocemente ogni animale che abita questo pianeta, abbattendolo quando ci va, e ci piace, finché ci immagineremo separati gli uni dagli altri, e tutti divisi dalla natura, nessuna conversione “green” sarà mai reale.
Siamo su un Titanic e il Titanic ha incrociato l’iceberg molto tempo fa, e l’unica virata che avremmo dovuto fare era una nuova inclinazione della nostra coscienza.
Adesso, come al solito, la prima classe ha in dotazione le sue belle scialuppe, mentre la terza classe, come sempre, sarà ridotta a marcire.
Ma questo pianeta è basato su una democrazia particolare in cui tutti sono uguali a tutti quando si tratta di sopravvivere alla distruzione globale che ci attende se non facciamo quel benedetto salto di coscienza. Perché siamo collegati alla terra, e ogni suo movimento ci influenza, e ci riguarda.
“Ogni gesto è politico”, scrive la meravigliosa Wislawa Szymborska in un suo verso. Sì, anche l’uso di una forchetta è un gesto politico. Perché se scelgo cosa mangiare esercito un “voto” rispetto, alle tragedie degli allevamenti intensivi che non solo danneggiano gli animali, ma la nostra intera esistenza. Qui il discorso si fa lungo, dico soltanto, per brevità, che senza arrivare ai radicalismi il problema è la mancanza di rispetto verso la vita, la vita di chiunque, tranne la nostra e quella della nostra famiglia.
Quando gli indiani uccidevano un bisonte, lo onoravano, lo ringraziavano.
Perché un tempo l’uomo non si era separato dalla natura. L’uomo si sentiva parte integrante, e nel mistero della vita che mangia la vita per continuare ad esistere esisteva un ‘etica, un riguardo, un rispetto.
Ma il consumo ha ucciso il dio Pan. Sì, Pan è morto. E con la sua morte la terra ha perso la sua possibilità di salvezza.
Il nostro egosistema è basato sull’arroganza antropocentrica con cui camminiamo su questa terra.
No, non siamo i padroni di tutto. E un giorno ce ne renderemo conto, così come ci renderemo conto che i soldi non possiamo mangiarli.
Dunque che fare? Smetterla e ripensarci come umanità. Cercare il collegamento con il cuore, scendendo dalla testa per incontrarlo.
E comprendere come la separazione dalla natura, e dai suoi figli, che sono i nostri fratelli, sia la responsabile del declino umano a cui stiamo assistendo.
Ciò che viviamo all’esterno parte innanzitutto da noi. Ognuno di noi, con le sue piccole scelte, può spingere la sua goccia in direzione del mare.
Smettiamola di essere ipocriti. Il green washing non è la soluzione.
Comprendere esattamente il concetto di ecologia è un passo fondamentale, imprescindibile. Non è solo una “disciplina che studia gli esseri viventi nelle loro relazioni reciproche e con l'ambiente nel quale vivono, dal punto di vista biologico” perché le relazioni con l’ambiente biologico in cui viviamo determinano la vita o la morte dell’intero sistema dell’esistenza su questo pianeta.
Quindi l’ecologia è innanzitutto uno stato di coscienza. Si deve iniziare da qui. Tra l’altro per questo sistema siamo noi il danno principale, siamo noi “il virus che infetta il pianeta, che si moltiplica come cavallette”, come dice a Neo l’agente Smith in quel documentario travestito da film intitolato “Matrix”.
Siamo noi a essere drammaticamente in esubero, noi che decretiamo piani di abbattimento quando un orso fa un orso, o quando un animale a cui devastiamo gli spazi naturali in cui vive è obbligato a spostarsi in cerca di terra e cibo, esattamente come faremmo noi, e perfino quando si moltiplica perché la nostra spazzatura metropolitana è attraente e facile da conquistare. Infatti l’anno scorso, a Roma, ho scattato una foto a un gabbiano che mangiava il tonno Rio Mare da una scatoletta buttata per terra, accanto a un bidone pieno zeppo da giorni. Quella foto è una tragica sintesi di questi tempi.
Eppure, niente. Non ci fermiamo davanti a niente.
Non ci fermiamo davanti al clima che cambia, né davanti alla morte e alla sofferenza delle catastrofi, né davanti alla terra che boccheggia in cerca del perduto ossigeno sottratto dalle sue foreste disboscate, né ci fermano i maltrattamenti degli animali, considerati oggetti di uso, consumo e smaltimento (che sia nella pancia, in un canile o in mezzo a una strada poco importa) senza pensare mai che gli esseri senzienti vivono, amano, gioiscono e soffrono esattamente come noi.
L’alfabeto umano non è l’unico, è soltanto l’unico di cui disponiamo Noi, e che Noi conosciamo.
Appunto, Noi. Ma ci sono anche gli Altri. Qui si gioca la differenza tra egosistema ed ecosistema.
Se il “green” è figlio dell’egosistema, alla fine “cambieremo tutto per non cambiare nulla”, in una gattopardesca prosecuzione del vizio.
Dobbiamo cambiare. Adesso. Ma non fuori. Dobbiamo cambiare dentro.
Prima che sia davvero troppo tardi per questo pianeta, e di conseguenza per noi.
Perché la vera, mortifera tara dell’egosistema è la sua condizione innaturale. Ed è questa stessa condizione che porta l’uomo a combattere, insieme alla natura, agli animali, anche sé stesso.
Già. Perché la vera guerra al meraviglioso, perfetto organismo rappresentato dalla natura (che si muove attraverso sistemi di rete, esattamente come i nostri neuroni), è una guerra contro di noi.
In un disegno che è armonia, equilibrio, cooperazione (come ci insegnano le piante), in cui nulla si butta, e in cui la vita che si ciba di vita per perpetuarsi vibra in accordo con le leggi universali, e lo fa senza abusi, senza stupri, senza gratuite crudeltà - e soprattutto senza fare del profitto il Dio che ha ucciso Pan - l’unico sbaffo, l’unica macchia, l’unico, imperdonabile difetto è l’uomo stesso.
Degli dèi conoscevamo la fiamma rubata, adesso siamo solo pallidi moltiplicatori, automi senza coscienza. Siamo i nostri sudari, le nostre sindoni mentre invece la maschera bella viene offerta al mondo postando su Instagram.
Non c’è più rispetto per la sacralità della vita. Si rispetta e si venera solo la illogica realtà del profitto, segno e simbolo di queste nostre magnifiche sorti e regressive”, tutte moderne, che perturbano e affliggono il mondo.
Il cambio non è solo la conversione “egologica”. Appunto.
Forse siamo ancora in tempo? Probabilmente no, ma siamo in tempo per imparare a pensare che esistono gli altri, esistono le discendenze a cui abbiamo sottratto un futuro sereno, ed esistono anche i fiumi, gli alberi, i lupi e gli agnelli. Esistono a prescindere da noi, ma sono collegati a noi, come noi siamo collegati a loro.
Ẻ tempo di modificare. La conversione va fatta nel centro del cuore. Poi, poi verrà anche il “fuori”.
La frenesia delle specializzazioni ci ha fatto dimenticare l’unità immancabile di cui tutto è pervaso, e solo una visione “olistica”, integrata, consapevole che il battito della farfalla è connesso all’uragano dall’altra parte del mondo” ci salverà.
Nessun “egotravestimento” è più possibile.
E se ci illudiamo che un bagnetto “green” e un’Intelligenza Artificiale risolveranno i nostri problemi siamo lontanissimi dalla percezione di ciò che veramente va fatto per garantirci un pianeta, e una vita.
Anzi, l’Intelligenza Artificiale, in mano nostra, rischia di aumentare il grado di elevazione della nostra stupidità.
Fino al giorno in cui, come narra il profetico Kubrick, anche un computer ci risponderà:
“Mi dispiace, purtroppo non posso farlo”.